
Non è stata la vendetta del Babi. Ermanno Caneparo se n’è andato in modo naturale, dopo una lunga vita, parte della quale dedicata al personaggio del Gipin del Carnevale di Biella. Per ben 30 anni è stato il custode delle chiavi della Città, consegnate dai vari sindaci che si sono susseguiti, tra cui il sottoscritto. Sembrano passati secoli dalla Biella di allora, quando era consentito ridersi addosso, subire le ironie più o meno amichevoli delle maschere di un Carnevale mantenuto vivo e vivace da una comunità che si preparava ogni volta con undici mesi di anticipo alla settimana scoppiettante che culminava con il processo del Babi.
Nell’omelia funebre, don Panigoni ha ricordato Ermanno e ha parlato del terzo occhio, quello che gli induisti si disegnano tra le sopracciglia, e che rappresenta il sesto chakra della saggezza nascosta, che ci consente di vedere oltre a quello che i nostri occhi percepiscono. Ermanno non era solo il Gipin, era una persona attiva socialmente, partecipe alla vita locale rappresentante del quartiere e presidente del Circolo del Piazzo. La voglia di scherzare non era solo voglia effimera di evasione, era un modo per tenere viva la città e consolidare le relazioni tra le persone.
Le parole, le battute, gli scherzi di allora hanno lasciato il posto ad un linguaggio digitale, che ci illude di essere sempre più connessi e integrati, mentre la libertà vera, quella scanzonata e sana che non ci fa prendere troppo sul serio, per prendere invece sul serio la vita della nostra comunità, beh due maschere del Carnevale ce l’hanno insegnato. Franco Caucino, il Cucu di Chiavazza, morto l’anno scorso e adesso Ermanno , in arte Gipin. Come tornano d’attualità le parole di Giorgio Gaber Che la vera libertà non è l’isolamento, ma l’essere parte di una comunità e partecipare attivamente alla vita sociale e politica.
Vittorio Barazzotto