Nel mio consueto articolo economico d’inizio anno vorrei parlarvi di frontiere, oltre che di numeri e prospettive. Non fosse altro perché il tema sta diventando sempre più pressante e d’attualità. Per il Biellese, per il Piemonte, per l’Italia. Per l’Europa e il mondo intero.
Secondo i più aggiornati dati Istat, nei nove mesi 2017 compresi tra gennaio e settembre, il Piemonte ha esportato merci per oltre 35 miliardi di euro (35,56 per la precisione). Ma il motivo per cui il dato mi sembra importante e incoraggiante – qui veniamo alle prospettive – è che il valore supera quello dello stesso periodo 2016 per quasi 3 miliardi di euro. Non sono pochi. Non disponiamo ancora dei dati complessivi su tutto l’anno che si è concluso da poco, ma realisticamente, anche sulla base degli ultimi dati Istat a livello nazionale, è possibile dire che l’andamento non subirà clamorosi ribaltamenti.
Fare previsioni in economia non è mai semplice: una battuta dice che gli economisti sono molto bravi a prevedere quello che succede il giorno dopo che è accaduto. Ecco, questa volta, incrociando le dita, qualche elemento in più a sostegno di queste riflessioni ce l’abbiamo. I primi indicatori diffusi a gennaio 2018 confermano un trend positivo per l’economia nazionale e a cascata per quella territoriale, tanto che gli analisti di Nomisma, alcuni giorni fa, hanno parlato di “fine del periodo di incertezza nel quale le nostre imprese navigavano”.
Anche il Biellese sembra adeguarsi alla tendenza generale e nei primi nove mesi 2017 ha venduto oltreconfine merci per 1,415 miliardi di euro: oltre cento milioni di euro in più rispetto allo stesso periodo 2016. Non solo, se il trend verrà confermato anche nell’ultimo trimestre dello scorso anno, potremmo essere di fronte a una nuova “annata record”, superiore quindi agli 1,758 miliardi di dodici mesi prima. Anche solo replicando la performance del periodo luglio-settembre (esportazioni per 435 milioni) il dato di tutto il 2017 salirebbe verso 1,9 miliardi.
Vale la pena ricordare che quando parliamo di export parliamo di uno dei pilastri della nostra economia: per il territorio locale che ha una forte vocazione internazionale grazie al suo primato nel tessile-abbigliamento di alta gamma e alla specializzazione meccanotessile; per la regione grazie all’automotive, alla meccanica strumentale e alle eccellenze agroalimentari; per l’Italia intera. Non si tratta quindi di un semplice sfoggio di dati.
Prima dell’avvento dell’euro il valore delle esportazioni nel Biellese, così come allargando lo sguardo, era pesantemente inferiore: alla faccia del mito della svalutazione competitiva e dei nostalgici della lira che oggi, se tornasse, ci farebbe davvero fare la fine del vaso di coccio tra i vasi di ferro dell’economia mondiale.
Mai come oggi sembriamo inclini a scordarci del passato o, almeno, a ricordarne solo gli aspetti che ci fanno comodo. Si grida contro l’euro e si dimentica il tasso di inflazione galoppante di quando c’era la lira. Si impreca contro l’asse franco-tedesco e si finge di non sapere che i due paesi partner valgono il 20% di tutto l’export biellese, il 26,9% di quello piemontese e il 22,3% delle esportazioni nazionali. Per inciso, i Paesi dell’Unione assorbono quasi il 56% del made in Italy. Inoltre: potrebbe l’Italia, da sola, fare pressioni efficaci e imporre regole antidumping ai paesi asiatici, Cina in testa? Potrebbe, certo, ma non conterebbe nulla.
Viviamo un periodo di incertezza e la crisi da cui stiamo uscendo – forse, finalmente – ha lasciato sul campo aziende e addetti. Ne sappiamo qualcosa nel Biellese e in Piemonte. Sono stati commessi errori. La globalizzazione ha dei difetti. Ma non saranno i pifferai contro l’Unione europea e contro l’euro a risolvere i problemi: anzi, ne porterebbero di ben maggiori. Chiudersi e alzare barricate può, forse, dare un’illusione di sicurezza temporanea. Ma non è la soluzione.
Meno dogane e meno frontiere non hanno solo facilitato le vacanze verso la Francia, la Spagna o la Germania, hanno anche spinto il commercio globale e con esso il made in Italy. Quello che vale per le merci a maggior ragione deve valere per le persone.
Dovremmo ricordarcelo e saperlo noi biellesi e piemontesi, che a centinaia di migliaia abbiamo varcato i confini in cerca di lavoro e di una vita migliore: verso la Camargue, verso il resto della Francia, verso la Svizzera o le miniere del Belgio (qualcuno dei lettori ha mai sentito parlare di Raoul Rossetti? Ha mai letto i suoi libri?).
Dovremmo saperlo noi, che abbiamo visto le colonne di persone in fuga dalla Francia occupata dai nazisti dopo l’8 settembre, attraversare le Alpi per cercare scampo e rifugio nei paesi del Cuneese.
Nei giorni scorsi, in occasione del Giorno della Memoria, mi è capitato di vedere su Facebook il post di un giovane e bravissimo storico piemontese, Carlo Greppi, collaboratore di Rai Storia. Accompagnava le sue riflessioni sull’Italia del Ventennio e delle leggi razziali con una foto d’epoca della Val di Susa, dove campeggiava un cartello con questa scritta: “Per i fascisti le frontiere, tutte le frontiere, sono sacre: non si discutono, si difendono”.
Ecco: per loro, per i fascisti di ieri e di oggi era ed è così. Per me, per noi no.