Oggi è festa. Una di quelle che si portano appresso un ponte che ci unisce al fine settimana. E Ognissanti si lega alla commemorazione dei defunti: sono giorni di tradizione che ci portano a cambiare l’acqua ai fiori dei nostri cimiteri, ma anche giorni in cui i nostri silenzi si riempiono di memorie di famiglia e rinnovano il patto con l’assenza dei nostri cari.
Il culto dei morti, al di là di festaiole espressioni d’importazione di cui discuterne l’ipocrisia è esercizio vano, è un’operazione necessaria a ogni comunità: è l’elaborazione del lutto, il segno di continuità, la comprensione che vita e morte siano in qualche modo complementari. Questi, sono giorni in cui il silenzio si fa necessità. Per ascoltare meglio chi non ci può più dire, per fare meglio qualche conto con noi stessi.
Purtroppo, però, nella nostra città si è verificato un fatto che straccia quest’opportunità di silenzio per aprire altre ferite di dolore. Non c’è pace e non c’è rispetto, in questi fatti di cronaca che vanno oltre ogni immaginabile indecenza, e speriamo che l’ottimo lavoro delle autorità preposte ne faccia luce e giustizia. Che sia chiarita in fretta ogni responsabilità, che questa comunità si confronti con questo dolore e questo orrore attraverso ogni notizia possibile, ogni parola buona alla giusta indignazione, ogni riga di giornale utile a capire.
A livello politico, però, a maggior ragione andrebbe praticata una fatica del silenzio, in luogo di una qualsiasi opportunità di speculazione politica che qualcuno ha invece praticato. Queste ferite di dolore meritano rispetto, meritano silenzio. E un fiore. Concimato con la memoria dei nostri cari e il nostro stare zitti, ad ascoltarli ancora.