Maglia rosa alla tappa di Biella e Valdengo

Archiviata con successo, di critica e di pubblico, la pratica del Giro d’Italia numero 100 con arrivo di tappa a Oropa, resta lo spazio mentale per un minimo di analisi.

Raramente gli occhi dell’altro mondo – quello che a Sud si estende dopo Massazza, per intenderci – sono puntati sul territorio biellese, ma quest’evento, che non era certo il primo del genere, a differenza del passato, o proprio per l’esperienza accumulata grazie a questo, ha dato l’impressione di aver generato un’unità d’intenti e una coesione sociale a cui non siamo per nulla abituati. Sicuramente emozionante e coinvolgente l’evento di sport e spettacolo, ma la mia riflessione vuole essere su quanto è stato emozionante e coinvolgente lo spirito con il quale la comunità biellese lo ha generato, preparato e accolto.

A partire dall’imprescindibile sforzo economico della Regione Piemonte, di quello logistico-amministrativo messo in atto dalle autorità locali (mi riferisco in particolare alle amministrazioni di Biella e Valdengo, che pure conferma di avere assimilato il ciclismo nel proprio dna), fino ad arrivare a una comunità finalmente coesa ed entusiasta nella partecipazione diretta: forze dell’ordine, volontari e cittadini, appassionati e sportivi da salotto riuniti nell’orgoglio della bella mostra di sé di un territorio che ha sfruttato al meglio la finestra di visibilità offerta dalla diretta Rai e dalla cascata di immagini generata a beneficio di social media e altri canali d’informazione e diffusione.

Oropa è ormai, con la “salita Pantani”, ben consolidata nell’immaginario della leggenda sportiva. Ma, a questo Giro, ho visto di più e meglio: una più lucida organizzazione, un senso di comunità altrove disperso, un entusiasmo che non ricordo così intenso di biellesi, turisti, appassionati tutti riversati in strada in una splendida giornata di sole e di sport.

Ora, quel che resta da fare – più che pensare a un eventuale prossimo appuntamento col Giro – è cercare di capire come evitare di disperdere questa energia. Come capitalizzare queste sensazioni e trasformarle in una realtà di accoglienza che sappia parlare di noi e del territorio meglio di come abbiamo fatto finora. Coscienti del fatto che eventi di questa portata non debbano costituire l’ordinaria amministrazione, ma contaminare e valorizzare un’espressione quotidiana legata alla ricettività turistica in termini puramente strutturali e alle formule di accoglienza e gestione del flusso turistico, non importa quanto grande, che sarà possibile generare.

Potrebbe essere l’inizio di una fase in cui i vari attori, politici ed economici, ritrovino anch’essi la rinnovata motivazione di procedere insieme sul percorso tracciato da esperienze come quella che abbiamo appena vissuto.